C’è un momento preciso in cui ho capito che la scuola non avrebbe potuto insegnarmi nulla di più utile di Hunger Games: era il 2014, avevo quindici anni, e mi facevo interrogare per prima solo per avere il tempo, durante le interrogazioni altrui, di leggere Katniss che lanciava frecce e sfidava il sistema. Priorità, no?
(No scherzo, non fate come me.)
Ora, più di dieci anni dopo, Suzanne Collins torna con L’alba sulla mietitura, e il richiamo a Panem è stato irresistibile. È come se mi avessero richiamata a casa. O almeno a casa di Haymitch, con qualche bottiglia in meno e parecchi traumi in più.
L’alba sulla mietitura: ovvero “cosa ha fatto Haymitch per meritarsi tutto quell’alcol”
Ambientato 24 anni prima degli eventi del primo libro, il nuovo romanzo ci porta dritti dritti nella 50ª edizione degli Hunger Games, quelli in cui Haymitch Abernathy — sì, il nostro sarcastico mentore dal cuore spappolato — vince i giochi e perde un bel po’ della sua umanità lungo la strada.
Non spoilererò nulla, promesso (non sono il tipo da rovinare le sorprese, anche se potrei parlarne per ore con gli occhi lucidi e muovendo moltissimo le mani. Lo faccio quando sono parecchio presa da ciò che sto leggendo). Vi basti sapere che il libro è tosto: cupo, crudele, politicamente denso e incredibilmente umano. La Collins fa quello che le riesce meglio: ti illude con un personaggio brillante e poi ti ricorda che a Panem essere brillante è un ottimo modo per finire spezzato.
E se Haymitch vi è sempre sembrato più di una macchietta da ubriacone burbero… beh, questo libro è la conferma che lo è. In senso buono.
Hunger Games: la distopia che mi ha rovinato (in meglio)
Quando Hunger Games è uscito, la distopia non era ancora “di moda”. Sì, c’erano i grandi classici, ma nulla che parlasse ai tredicenni che si barcamenavano tra i banchi di scuola e una guerra interiore su chi fosse meglio tra Peeta e Gale (io, per inciso, tifavo Finnick - da prima di sapere che avesse il volto di Sam Claflin eh - Non me ne vogliano i panettieri e i cacciatori).
Orwell è intoccabile, lo so anch'io, ma la Collins ha avvicinato i ragazzi alla distopia e non potete dirmi il contrario. Ho letto La fattoria degli animali a tredici anni, e non l'ho apprezzato come so che lo apprezzerei adesso. Ho letto Il signore delle mosche, bellissimo anche lui, colonna letteraria della distopia anche lui ma... non mi ha preso quanto avrei voluto. Hunger Games per una ragazza della mia età era una calamìta alla quale non ho saputo resistere e che ho amato moltissimo.
Ha poi dato il via al mio amore per Divergent e altre sage distopiche lette in seguito.
La Collins ha preso un genere letterario da adulti e ci ha ficcato dentro i reality show (io bimba di Truman Show) la ribellione adolescenziale, i media manipolatori e i governi autoritari. Il tutto condito con personaggi da amare e da piangere fortissimo. Non era solo intrattenimento: era un corso accelerato di coscienza politica travestito da saga con archi e bacche di more.
Per me, Hunger Games è stato un risveglio. Non solo alla narrativa potente, ma alla consapevolezza che anche a tredici anni potevo leggere cose che mi scuotevano, mi facevano arrabbiare, mi facevano pensare. E poi c’era Finnick. Serve aggiungere altro?
Panem oggi: perché dovremmo tornarci
In un mondo che ogni giorno sembra sempre più simile al Capitol (con meno glitter e più inquietudine), rileggere Hunger Games oggi ha un peso diverso. E L’alba sulla mietitura non è un semplice prequel: è un promemoria doloroso del fatto che la violenza sistemica e il trauma collettivo lasciano strascichi lunghi. Che gli eroi non nascono già pronti: si spezzano, si ricuciono, si perdono e ogni tanto riescono anche a salvare qualcun altro.
E Haymitch, con la sua ironia corrosiva e il suo cuore a pezzi, è uno dei personaggi meglio scritti dell’intera saga. Finalmente conoscerlo davvero è stato catartico. Doloroso, ma catartico. Io lo avevo già amato durante la trilogia, ma adesso che conosco il suo passato lo amo ancora di più.
Le distopie non passano mai di moda (e nemmeno Finnick)
Alla fine, tornare a Panem è stato come rileggere un vecchio diario scritto con l’inchiostro della ribellione adolescenziale. Hunger Games ha segnato la mia generazione. E anche se oggi leggo romanzi “più adulti”, nessuno riuscirà mai a scalzare Katniss, Haymitch e Finnick dal mio Olimpo letterario.
Quindi sì: L’alba sulla mietitura merita. E merita soprattutto se siete pronti a guardare negli occhi i fantasmi della saga, capire da dove vengono, e forse perdonare un po’ di più chi non è riuscito a salvarsi del tutto.
“It takes ten times as long to put yourself back together as it does to fall apart.”
E niente, avevate bisogno di questa citazione. Di nuovo. Sempre.
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